sabato 13 ottobre 2007

ADESSO BASTA!!!!!!!!!!!


NEW YORK - Le antenne paraboliche delle grandi televisioni americane sono di nuovo parcheggiate di fronte a Columbia University: due settimane fa le telecamere e i fotografi erano tutti per il presidente iraniano Ahmadinejad e i suoi contestatori, ieri al centro dell'inquadratura c'erano centinaia di ragazzi vestiti interamente di nero. Scandivano uno slogan: "Non nel nostro campus". Non riuscivano a farsene una ragione: l'onda lunga del razzismo, materializzato nel suo simbolo più classico, il cappio da forca, dalla Louisiana è arrivato fino a Manhattan. E nelle ultime settimane sta infettando scuole superiori e università di tutto il Paese. Martedì mattina, Madonna Constantine, 44 anni, professoressa afroamericana del Teachers College di Columbia University ha trovato un nodo scorsoio, a cui per un secolo i bianchi hanno impiccato i neri, appeso sulla maniglia della porta del suo ufficio, al quarto piano di uno dei più antichi edifici dell'università, sulla 120esima strada all'angolo con Broadway. Siamo al confine con Harlem. Siamo in quella che è considerata la migliore scuola d'America per la formazione degli insegnanti. Siamo nell'ateneo dove la carta intestata recita orgogliosa "Columbia University in the City of New York", dove questo sta a significare che qui si mescolano razze, religioni e identità. Ma proprio qui, qualcuno che conosceva bene il percorso tra le Aule, ed è riuscito ad eludere la sorveglianza notturna, ha minacciato una delle professoresse più famose e impegnate. Madonna Constantine studia i meccanismi psicologici del mondo dell'educazione e i suoi lavori spiegano chiaramente perché è stata scelta come bersaglio: è una donna impegnata da anni a combattere i pregiudizi radicati nella società americana. Nel suo ultimo libro, cerca di identificare e combattere il razzismo "non intenzionale" e "scontato". Era convinta che nel mondo di oggi ci si dovesse concentrare su forme leggere e subdole di discriminazione, invece le è stato recapitato il simbolo del Ku Klux Klan. Qualcosa che ha un potere evocativo tremendo: tra il 1882 e il 1968, in tutti gli Stati Uniti ci furono 4.743 esecuzioni sommarie, con il cappio appeso ai rami di un albero, di neri ritenuti colpevoli da giurie improvvisate composte da bianchi.
"Columbia come l'Alabama", ripetono gli studenti, che dall'altra notte si sono riuniti per discutere e ieri pomeriggio hanno manifestato all'ingresso del campus. "Il virus che ha infettato la nostra nazione per troppi anni è tornato, e se dalla Louisiana arriva a contagiare una delle università più prestigiose d'America allora è tempo di svegliarsi", dice Bill Perkins, il politico nero che rappresenta questa parte di città nel Senato dello Stato di New York. I ragazzi scandiscono i loro slogan senza sosta, quando a sorpresa appare la professoressa Constantine, lunghi capelli con le treccine e un blocco di appunti con i fogli gialli tra le mani: "Non starò in silenzio. Non mi farò intimidire". È un'ovazione, un lunghissimo applauso quasi liberatorio. Perché nessuno, nell'America in cui corre per la presidenza un giovane senatore nero, in cui la star più pagata della televisione è una nera, Oprah Winfrey, poteva immaginare che riapparissero i simboli del razzismo più antico. Tutto è ricominciato a Jena, in Louisiana, quando un anno fa sei giovani neri si sedettero sotto un albero al centro del cortile di una scuola superiore, un luogo "riservato" agli studenti bianchi. La mattina dopo puntuali, tra i rami, apparvero i cappi. Cominciarono una serie di scontri razziali, un ragazzo bianco venne picchiato da sei compagni e il procuratore, destando scandalo, li incriminò per tentato omicidio. Sono seguite manifestazioni e mobilitazioni contro il razzismo, l'albero è stato tagliato, ma il contagio era ormai partito. Un mese fa il cappio si è ripresentato nel campus dell'Università del Maryland, dove dondolava di fronte al palazzo che ospita le organizzazioni studentesche nere. Da quel momento, nelle ultime quattro settimane si sono registrati almeno dodici casi, tre alla settimana, e sono solo quelli più noti. Nodi scorsoi sono apparsi in numerosi licei, alla stazione degli autobus di Pittsburgh, perfino negli spogliatoi della stazione della polizia di Long Island. Il 29 settembre a Washington, alla scuola superiore per ragazzi non udenti della Gallaudet University, uno studente nero è stato circondato da sei compagni che lo hanno immobilizzato e con un pennarello gli hanno riempito la faccia e il corpo con svastiche e la scritta "KKK". Ora Columbia. La polizia ha mobilitato decine di detective e sospetta possa essere stato un collega, un professore che aveva dissapori e gelosie verso la Constantine. Ma il Columbia Spectator, il giornalino del Campus, non sembra crederci e racconta come le tensioni si siano riaccese nel 2004, quando un gruppo di studenti del Conservative Club, per protestare contro l'affirmative action - la legge che prevede le quote e gli aiuti per le minoranze - decise di mettere in piedi una serie di banchetti in cui si vendevano le torte. I classici banchetti per raccogliere fondi, ma qui le donne, i neri e gli asiatici pagavano meno dei maschi bianchi. Un modo per dire che il sistema favorisce le minoranze a discapito dei bianchi. Lo scandalo e le polemiche furono pesanti e gli studenti neri si presentarono all'università per una settimana intera completamente vestiti di nero per denunciare il ritorno del razzismo dentro l'ateneo. Nel dicembre dell'anno dopo apparvero le scritte del KKK sui muri di un dormitorio, e proprio il giorno dopo la visita di Ahmadinejad, in un bagno del dipartimento di relazioni internazionali, è apparsa una scritta che auspica il lancio dell'atomica sull'Iran e i luoghi sacri ai musulmani. Ma a lasciare il segno era la frase finale: "Gli Stati Uniti sono per i bianchi di origine europea".

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