giovedì 8 novembre 2007

L ' EDITTO BULGARO











Nel dibattito politico italiano l'uso dell'ormai consolidata espressione editto bulgaro o editto di Sofia è dovuto a una serie di vicende seguite a una dichiarazione di Silvio Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, rilasciata in una conferenza stampa svoltasi in occasione di una visita ufficiale a Sofia il 18 aprile 2002, dichiarazione ribattezzata poi, dal giornalista Simone Collini de L'Unità, "diktat bulgaro"; Daniele Luttazzi vi si riferisce come "ukase bulgaro" nei suoi numerosi pezzi. Nella dichiarazione, Berlusconi, denunciò quello che, a suo dire, era stato un «uso criminoso» della tv pubblica da parte dei giornalisti Biagi e Santoro e del comico Daniele Luttazzi, affermando successivamente che sarebbe stato «un preciso dovere della nuova dirigenza» RAI non permettere più il ripetersi di tali eventi. L'affermazione venne interpretata dall'opposizione e da una parte dell'opinione pubblica, come un auspicio per l'allontamento dei tre dalla RAI; che lo fosse o meno, i tre effettivamente dopo poco non lavoreranno piu nella RAI alla quale hanno fatto ritorno solo a diversi anni di distanza.
La fortuna di tale formula espressiva (editto o diktat bulgaro), che l'ha resa così atta alla comunicazione politico giornalistica fino a consolidarla come una vera e propria frase fatta di largo uso nella discussione politica, è certamente legata alla sua innegabile potenza espressiva: i sostantivi "editto" e "diktat" sono utilizzati con l'intento di evocare l'idea di un'imposizione dall'alto o, per il riferimento ad un sistema dittatoriale, di instaurare un parallelismo tra la vicenda e le azioni di controllo e censura della stampa compiute dalla dittatura bulgara sotto il regime Sovietico, così da rafforzare le critiche mosse al governo Berlusconi di attuare politiche di regime. Ciò in quanto, fra l'altro, Silvio Berlusconi era già detentore dell'unico polo televisivo privato di rilievo in Italia.



La dichiarazione originale fu: « L'uso che Biagi, Santoro, ... come si chiama quell'altro ... Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga. » (Silvio Berlusconi, 18 aprile 2002)

La dichiarazione venne immediatamente accolta dall'opposizione, e più in generale dai non simpatizzanti di Berlusconi, come un'intrusione dell'esecutivo nelle decisioni del neoeletto CdA della RAI, allo scopo di allontanare dalla televisione pubblica i giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro ed il comico Daniele Luttazzi. Biagi, Santoro e Luttazzi erano infatti già precedentemente ritenuti sgraditi al governo in carica, essendo già stati accusati più volte dallo stesso Berlusconi di manifesta partigianeria e di aver portato avanti una campagna di attacchi personali verso di lui con un uso indebito del canale pubblico, perfino in campagna elettorale a ridosso delle elezioni del 2001. Secondo tale corrente di pensiero è difficile non leggere le dichiarazioni di Berlusconi ed i conseguenti avvenimenti come un attacco alla libertà di stampa e una subordinazione della RAI al governo, con compromissione della sua funzione di TV di pubblico servizio. Tale interpretazione della dichiarazione quale ingerenza venne successivamente rafforzata nell'opinione pubblica dopo l'effettiva sospensione dei programmi Sciuscià, Il Fatto e Satyricon, che realizzava di fatto l'allontanamento dei tre personaggi dal video, come auspicato da Berlusconi, entro pochi mesi dalla dichiarazione incriminata. L'allontanamento suscitò immediatamente accese critiche in quanto i tre, pur non avendo mai nascosto la loro posizione critica nei confronti del governo Berlusconi, riscuotevano ugualmente una notevole popolarità e i loro programmi ottenevano buoni risultati in termini di share, rendendoli a dire di alcuni una "buona risorsa per l'azienda"[citazione necessaria] RAI. Inoltre quanto affermato durante le loro trasmissioni non è mai stato contestato nella sostanza: in tutte le cause intentate contro di loro, i diversi giudici hanno riconosciuto che le loro affermazioni erano contingenti e tutte basate su fatti veri. In realtà, pur essendo questa la prima volta che l'ingerenza politica arrivava così apertamente, in RAI si sono più volte verificati allontanamenti ed interruzioni di trasmissioni per motivi politici Ad anni di distanza, nel corso della trasmissione Porta a Porta condotta da Bruno Vespa, Berlusconi asserì che «Quando, a Sofia, ho parlato di Biagi, Santoro e Luttazzi, non pensavo che fossero presenti giornalisti. Altrimenti mi sarei attenuto ad un linguaggio ufficiale». In effetti la frase era stata però pronunciata in una conferenza stampa davanti a duecento giornalisti internazionali al termine di una visita ufficiale alle autorità bulgare, ma né il conduttore né i tre direttori di giornale presenti intervennero per ricordarlo




Il caso Santoro






La decisione di sospendere il programma Sciuscià e di non impiegare Michele Santoro nel palinsesto autunnale, venne adottata dopo la seduta del CdA RAI del 30 ottobre conseguentemente a un procedimento disciplinare interno aperto nei confronti del giornalista per i contenuti di due puntate delle sue trasmissioni: "Sciuscià Edizione Straordinaria" (24 maggio 2002) e un reportage di "Sciuscià" del 5 agosto 2002. Dal settembre 2002 la collaborazione di Santoro con la RAI fu sospesa e non più ripresa, e il programma venne sostituito da Excalibur condotto da Antonio Socci , accusato a sua volta di tenere una condotta diametralmente opposta a quella di Santoro: di sostegno a Berlusconi e ostile nei confronti dell'opposizione; tale programma fu caratterizzato, per tutta la sua durata, da ascolti molto più bassi rispetto a quelli di Sciuscià. Nel giugno 2003, relativamente alla causa di lavoro intentata dal giornalista, il tribunale di Roma emanò un'ordinanza in cui impose alla RAI un risarcimento a beneficio di Santoro e il riaffido a quest'ultimo della conduzione di un programma «di approfondimento giornalistico a puntate collocato in prima o in seconda serata con dotazione delle risorse umane, materiali e tecniche, idonee ad assicurare la buona riuscita di esso, in misura equivalente a quella praticata per i programmi precedenti», ordinanza mai recepita, neppure successivamente a un richiamo dell'Autorita per le garanzie nelle comunicazioni, che invitava la RAI «al rispetto dei principi di pluralismo, obiettività, completezza ed imparzialità». La disputa tra la televisione pubblica italiana e Santoro si protrasse fino al 26 gennaio 2005




Il caso Luttazzi




La sospensione del programma Satirycon condotto daDaniele Luttazzi, avvenne nel dicembre 2002 e lo stesso venne sostituito con il programma Bulldozer contenitore di esibizioni di diversi comici presentato da Federica Panicucci Come motivazioni ufficiali delle sospensioni dei programmi di Biagi e Luttazzi furono avocate necessità di revisione dei Palinsesti per rendere la RAI competitiva nei confronti della concorrenza, che nelle stesse fasce orarie trasmetteva programmi di successo come Stricia La Notizia Per quanto riguarda in particolare Satyricon la sospensione era inoltre giustificata, secondo alcuni, come conseguenza delle continue polemiche che avevano coinvolto la trasmissione: nel corso di una puntata Luttazzi aveva infatti annusato un paio di slip indossati dall'attrice Anna Falchi ospite del programma, mentre in un'altra aveva simulato la coprofagia Secondo Luttazzi il vero motivo della sospensione della trasmissione da lui condotta andava, invece, ricercato nel fatto di aver ospitato nel corso di una delle puntate del programma, andata in onda nel corso della campagna elettorale per le elezioni politiche italiane del 2001, il giornalista Marco Travaglio il quale nel corso dell'intervista aveva, tra l'altro, presentato le tesi contenute nel proprio libro sull'origine ignota dei capitali con i quali Berlusconi aveva iniziato la sua attivita imprenditoriale.




Il caso Biagi




Biagi decise di replicare la sera stessa dell'editto nella puntata del Fatto, dichiarando: « Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo. Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri . Sono ancora convinto che perfino in questa azienda (che come giustamente ricorda è di tutti, e quindi vorrà sentire tutte le opinioni) ci sia ancora spazio per la libertà di stampa; sta scritto - dia un'occhiata - nella Costituzione. Lavoro qui in Rai dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto . Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. » Le trasmissioni del Fatto proseguirono regolarmente fino alla prima settimana di giugno quando terminò la stagione. La dirigenza Rai decise di cancellare il programma, dopo un lungo tira e molla cominciato già a gennaio cioè prima dell'editto bulgaro, quando il direttore di Rai Uno, Agostino Saccà, si recò alla commissione parlamentare di vigilanza. Egli dichiarò che l'azienda doveva controbbattere Striscia la Notizisa e non poteva permetterselo con una trasmissione di cinque minuti che aveva conosciuto nell'ultimo periodo un calo di 3-4 punti di share. La dichirazione fu contestata dai commissari del centro-sinistra durante l'audizione, perché i dati Auditel dichiaravano che il Fatto aveva uno share del 27,92% di media, quasi otto milioni di telespettatori, addirittura superiore alla quota dell'anno prima, che aveva una media del 26,22%. In seguito, il 17aprile, furono diffuse le nuove nomine della Rai. Rai Uno venne affidata a Fabrizio Del Noce, in quota F.I., che dichiarò che «stava studiando una soluzione idonea per il Fatto e per Enzo Biagi». Successivamente, Saccà e Del Noce proposero a Biagi diverse soluzioni alternative per la collocazione del Fatto: alle 13:00, dopo il Tg1 delle 12:30 (ipotesi respinta da Biagi: «È troppo presto per approfondire adeguatamente i fatti del giorno»), poi alle 19:50 (ipotesi respinta anche questa: «Peggio della prima! È assurdo fare l'approfondimento prima della notizia»). Del Noce non confermò alla stampa la presenza del Fatto nei palinsesti, non ancora definitivi per la nuova stagione 2002-2003 e diffusi a maggio. Biagi scrisse al nuovo presidente della Rai, Antonio Baldassare, già membro della Corte Costituzionale, chiedendo spiegazioni sul suo futuro e se la Rai intendesse rinnovare il suo contratto in scadenza a dicembre. Baldassare, presentandosi ai telespettatori come «un punto di riferimento per la libertà dentro la Rai»[citazione necessaria], rispose a Biagi che «è e rimarrà una risorsa per l'azienda» facendosi intervistare proprio al Fatto. Un mese dopo, durante la tradizionale presentazione a Cannes dei palinsesti autunnali della Rai, il Fatto era assente. Alle domande dei giornalisti, la Rai rispose che «Biagi aveva perso appeal»[citazione necessaria]. Il 2 luglio si tenne un incontro fra Enzo Biagi, il regista del Fatto Loris Mazzetti, Fabrizio Del Noce e Agostino Saccà, che era diventato nel frattempo direttore generale della Rai. In questo vertice si decise di sopprimere Il Fatto e di affidare a Biagi una trasmissione in prima serata, con inchieste e temi d'attualità. Inoltre si decise di rinnovare il contratto che legava Biagi alla Rai. La bozza del contratto arrivò a Biagi solo il 18 settembre, dopo ripetute sollecitazioni da parte di quest'ultimo. Intanto Il Fatto era stato sostituto da un programma comico, con Tullio Solenghi e Massimo Lopez, "Max e Tux". Il nuovo programma precipitò ben presto dal 27 al 18% di share. Del Noce imputò a Biagi il crollo degli ascolti perché «col suo vittimismo ha scatenato verso Rai Uno un accanimento senza precedenti»[citazione necessaria]. Biagi decise di lasciare Rai Uno e intavolò, con la mediazione sempre di Loris Mazzetti, trattative con il direttore di Rai Tre, Paolo Ruffini, per riprodurre Il Fatto sulla sua rete alle 19:53, dopo il Tg3 e i telegiornali regionali. Alla diffusione della notizia, il presidente Rai Baldassarre dichiarò: «É una bella notizia, ma troppo costosa per Rai Tre».[citazione necessaria] Il 20 settembre Biagi, in una lettera al direttore generale Saccà, scrisse che se la Rai aveva ancora bisogno di lui (come dichiarato dallo stesso dg) e se questo ostacolo era rappresentato da problemi economici, egli si dichiarava pronto a rinunciare al suo stipendio, accettando quello dell'ultimo giornalista della Rai, purché detto stipendio venisse inviato al parroco di Vidiciatico, un paesino sperduto nelle montagne bolognesi, che gestiva un ospizio per anziani rimasti soli. Saccà replicò, con una lettera al quotidiano La Repubblica (che stava dando grande risalto alla vicenda), che il programma non poteva essere trasmesso per esigenze pubblicitarie.[citazione necessaria] Il 26 settembre Saccà inviò ad Enzo Biagi una raccomandata con ricevuta di ritorno, in cui gli spiegava, con toni formali, che Il Fatto era sospeso, così come le trattative fra lui e la Rai; si sarebbe trovato il tempo più in là per fare un nuovo programma, magari dai temi più leggeri. « Il direttore generale Saccà mi ha mandato la disdetta del contratto con ricevuta di ritorno, che è la cosa che mi offende di più. Io sono stato licenziato con ricevuta di ritorno, perché magari potevo dire "non lo sapevo... ma guarda, mi hanno cacciato via e non me n'ero neanche accorto!". E dalla dirigenza della Rai non ho mai più sentito nessuno. » (Enzo Biagi dal film Viva Zapatero!) La raccomandata con ricevuta di ritorno è in realtà il metodo previsto per comunicazioni legali o ufficiali ma la regista del film Viva Zapatero! non è intervenuta per ricordarlo. Biagi, esausto per quell'interminabile tira e molla, offeso per i contenuti di quella raccomandata che secondo la sua interpretazione «lo cacciava ufficialmente dalla Rai»[citazione necessaria], su consiglio delle figlie e di alcuni colleghi, decise di non rinnovare il contratto e di chiudere il legame fra Biagi e la Rai, con una transazione economica, curata dall'avvocato milanese, Salvatore Trifirò. La Rai riconobbe il lungo lavoro di Biagi "al servizio dell'azienda" e pretese che in cambio non lavorasse per nessun'altra rete nazionale per almeno due anni. L'annuncio della chiusura del contratto provocò polemiche su tutti i giornali e attacchi durissimi ai dirigenti Rai, già sotto assedio per il crollo degli ascolti (che avevano provocato le dimissioni di tre dei cinque membri del Cda). Saccà e Baldassare dichiararono ai giornali che «Biagi non era stato mandato via»[citazione necessaria], che quella era solo un'invenzione dei giornalisti, che Enzo Biagi era il presente, il passato e il futuro della Rai, che «la presenza di voci discordanti dall'attuale maggioranza, com'è appunto quella di Biagi, era fondamentale»[citazione necessaria]. Di fronte a queste levate di scudo, Biagi commentò con : «Ma, se allora tutti mi volevano, chi mi ha mandato via?».[citazione necessaria] Poco dopo, il consigliere d'amministrazione Rai Marcello Veneziani, vicino ad Alleanza Nazionale, dichiarò che Biagi con «quella chiusura del contratto, aveva svenato l'azienda e quindi la smettesse di piagnucolare a destra e a sinistra»[citazione necessaria]. Biagi allora rese pubblico il suo contratto di chiusura. La sua liquidazione è la stessa cifra che, successivamente, un giudice stabilirà come risarcimento per Michele Santoro.[citazione necessaria] Il fatto fu sostituito prima con Max & Tux, una serie di sketch comici muti interpretati da Massimo Lopez e Tullio Solenghi per la regia di Giuseppe Moccia (il Pipolo di Castellano e Pipolo) e Carlo Corbucci: il programma, in onda per alcune settimane, ebbe ascolti ben inferiori a quello di Biagi il che portò, contrariamente agli asseriti obiettivi che avevano portato alla chiusura del programma di Biagi da parte dell'ente radiotelevisivo pubblico, ad un conseguente record di ascolti per Striscia la Notizia. In un'intervista relativa allo scarso successo del programma (che comunque raggiunge picchi di 6/7 milioni di ascoltatori) e alle critiche che ne erano seguite, lo stesso Solenghi ammise che "Striscia viaggia sui nove [milioni di ascoltatori]. Ma Striscia è una corazzata, nessuno di noi aveva l'ambizione di porsi alla pari" Dopo l'esordio del programma Biagi dichiarò che « Per ora la situazione è piuttosto incerta e ferma: la Rai può proporre e anche comandare ma non e' detto che uno debba accettare ... Mi hanno proposto il venerdì in seconda serata cioè quando tutti sono già partiti per il week end. Mi chiedo perché dovrei accettare dopo tutte le prime serate di successo che abbiamo fatto. D'altra parte quello che non andava è stato già detto in Bulgaria: e infatti né io né Santoro siamo in onda. Personalmente non sono un uomo per tutte le stagioni, non è obbligatorio andare in onda » (Dichiarazioni di Enzo Biagi il giorno successivo al primo episodio di Max & Tux In seguito quella fascia oraria fu occupata per un breve periodo da La zingara, quiz condotto da Cloris Brosca dal dicembre 2002 da Il Castello condotto alternativamente da Pippo Baudo, Carlo Conti e Mara Venier e infine, nell'autunno del 2003, da Affari tuoi, programma che registrò un notevole successo tanto da divenire poi uno dei programmi di punta della rete, in grado di battere anche la concorrenza. Dopo il ritorno in RAI di Biagi, a sorpresa Berlusconi in un'intervista del 23 aprile 2007 fece parziale marcia indietro, elogiando il suo nuovo programma e dichiarando: « Io non ho mai detto che Biagi e gli altri non dovessero continuare in RAI. Io ho detto che non dovevano utilizzare la RAI per fare trasmissioni faziose. Forse ho calcato la mano ma il servizio pubblico è pagato da tutti, anche da chi non la pensa come Biagi o gli altri. » (Silvio Berlusconi, intervista a Radio anch'io) All'indomani della morte di Enzo Biagi, avvenuta nel novembre del 2007, Berlusconi ha inoltre dichiarato di aver solo voluto esercitare un diritto di critica sull'utilizzo della tv pubblica e che «Non c'era nessuna intenzione di far uscire dalla televisione e neppure di porre veti alla permanenza in tv di chicchessia»

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